Obiettivo comfort

Engineer Alberto Asquini
Department of Energetics and Machines
University of Udine

Comfort: in italiano confort, dal tardo latino “confortare”, significa agio, comodità ed è riferito ad attrezzature o a servizi che possono determinare tale stato di benessere. Promuovendo una progettazione contemporanea responsabile che riporti al centro l’essere umano e le sue esigenze, si contribuisce al comfort ambientale e si compie un’azione sociale.

Non deve sorprendere che l’architettura greca, e in seguito quella romana, abbia prodotto esempi illustri ed ineguagliati di strutture in cui la fruizione e comprensione dei messaggi sonori, siano essi di origine vocale o strumentale, risultino ottimali. Tuttavia la progettazione di questi ultimi era basata sostanzialmente sull’esperienza pregressa e sull’empirismo, e i fondamenti teorici, o presunti tali, erano costellati di non poche credenze erronee. Anche la scelta dei materiali da impiegare per tali opere era condizionata da questo approccio e non è un caso che la ripartizione di derivazione vitruviana che li divideva in tre classi (molli o fonoassorbenti, come i tessuti; elastici o risonanti, come il legno; duri o non risonanti, come la pietra), seppur viziata da gravi errori concettuali, abbia resistito fino al secolo XIX. Per vedere gettate le basi di una scienza rigorosa nell’accezione moderna del termine, si è dovuto attendere che ad un giovane e sconosciuto professore di fisica dell’Università di Harvard venisse affidato un incarico del tutto particolare. Il fatto che molti suoi colleghi con più esperienza avessero rifiutato in precedenza tale compito, potrebbe essere indizio di quanto la situazione giocasse a suo sfavore per un successo finale. La storia, invece, ci racconta che quel giovane di nome Wallace C. Sabine, mosso dall’entusiasmo e dalla sua vivace intraprendenza, diede impulso ad una disciplina cui avrebbe dedicato anima e corpo per molti anni a seguire. All’interno del Fogg Museum, inaugurato a Boston solo pochi anni prima, si trovava una capiente aula per le lezioni. Peccato che, a detta di tutti i professori che ebbero l’occasione di utilizzarla, le parole che vi venivano pronunciate andavano sovrapponendosi l’una all’altra in una cacofonia che limitava in maniera drastica la comprensione di qualsiasi discorso.
Pur con una scarsa esperienza sull’argomento, Sabine si prodigò per capire cosa rendesse singolare tale sala rispetto ad altre ritenute acusticamente adeguate. Casualità poi volle che proprio nelle vicinanze del Fogg Museum si trovasse il Sanders Theater, la cui risposta, dal punto di vista dell’acustica, era giudicata all’epoca eccellente. Egli analizzò scrupolosamente in un confronto diretto le caratteristiche geometriche dell’una e dell’altra sala, nonché focalizzò le sue attenzioni sulle proprietà dei materiali che erano stati utilizzati al loro interno per le finiture. Pare di vederlo quest’uomo sottile percorrere a passo svelto le strade buie di una ricca e addormentata Boston durante fugaci sortite notturne e trasportare, aiutato dai suoi giovani assistenti, le sedute imbottite, i cuscini e i tessuti del Sanders Theater all’interno dell’aula del Fogg Museum. Qui, munito solo del suo buon orecchio, di un cronometro e di un organo a canne con un serbatoio d’aria compressa come fonte sonora, effettuare poi migliaia di scrupolose misure del tempo richiesto, affinché le singole note così generate, diventassero appena udibili, registrando ogni piccola variazione in funzione del numero di cuscini introdotti. Quindi alle prime luci dell’alba, ripercorrere a ritroso quelle stesse strade per far ritrovare tutto perfettamente al proprio posto, il mattino seguente, alla ripresa delle lezioni che lì vi si sarebbero tenute. La semplicità del metodo approntato da Sabine, potrebbe facilmente far dubitare sulla validità dei risultati ottenuti. Sebbene le misurazioni da lui condotte fossero largamente poco accurate se confrontate agli standard attuali, tuttavia esperimenti successivi, condotti da grandi nomi della storia dell’acustica architettonica (Carl F. Eyring e Manfred R. Schroeder su tutti) hanno confermato come la strada tracciata fosse corretta.
Ciò che egli andava cercando e, di fatto, ottenne, attraverso i suoi rilevamenti sperimentali, era un parametro che esprimesse l’acustica della sala in termini quantitativi, non più meramente qualitativi com’era accaduto fino allora.
Le sue osservazioni lo portarono a formulare una relazione che esprime uno dei descrittori più importanti nella valutazione dell’acustica di un ambiente: il tempo di riverberazione. D’un tratto, e in un colpo solo, la sensibilità dell’orecchio dell’ascoltatore cessa di essere arbitrario ed unico strumento e metro di giudizio, pur preservando il suo ruolo privilegiato. Bisogna però riconoscere come, nonostante sia passato più di un secolo da allora, alcuni concetti basilari quali la stessa riverberazione, la trasmissione sonora o l’assorbimento acustico non siano ancora stati adeguatamente assimilati. Alla stregua dei tempi antichi in cui principi spesso fallaci guidavano la mano dei progettisti architettonici, non è insolito imbattersi in situazioni in cui vengono commessi errori macroscopici e grossolani. Quasi che le notti passate da Sabine a trasportare cuscini ed effettuare misurazioni fossero state vane! In realtà non è sempre così, tanto più che questa svolta induttiva nell’approccio scientifico ha aperto la via alla ricerca dei metodi e dei materiali più efficaci atti a trattare acusticamente gli spazi confinati. Il loro utilizzo consente di controllare e modificare a piacimento la riverberazione, al fine di garantire condizioni ottimali di utilizzo degli ambienti: il comfort acustico diviene obiettivo perseguibile nell’ambito progettuale.

È vero che a tutt’oggi sfogliare il catalogo tecnico di un prodotto o materiale con doti di assorbimento acustico, significa fronteggiare informazioni che, esclusi gli addetti ai lavori, solo poche persone sono in grado di leggere e decifrare. Le proprietà assorbenti dei materiali vengono quantificate attraverso il coefficiente di assorbimento acustico α (alfa). Ma cosa rappresenta quest’ultimo? Esso è definito come il rapporto tra l’energia sonora assorbita e l’energia incidente. Il suo valore numerico può quindi variare tra zero, nel caso in cui tutta l’energia sia riflessa, e uno, nel caso in cui tutta l’energia sia assorbita dal materiale. Dati sperimentali superiori all’unità che alle volte è possibile incontrare, oltre a non avere dignità fisica poiché esulano dalla definizione stessa di assorbimento, sono da spiegarsi con condizioni di misura in campo sonoro non sufficientemente diffuso, ossia in situazioni in cui vengono a cadere le ipotesi formulate da Sabine per la validità dell’espressione da lui proposta per il calcolo del tempo di riverberazione. Il principio fisico che regola il fenomeno dell’assorbimento acustico riguarda la conversione di parte dell’energia incidente in calore. È tuttavia noto come questa si esplichi secondo meccanismi e modalità differenti a seconda della tipologia e della morfologia dell’elemento assorbente. Si è soliti parlare, in effetti, di assorbimento per porosità, per risonanza di membrana o per risonanza di cavità. Poiché solitamente l’assorbimento acustico viene rappresentato in forma grafica attraverso una curva in cui è riportato il valore di α (alfa) nelle singole bande di terzo d’ottava, comprese indicativamente nel campo tra 100 e 5.000 Hz, è interessante riconoscere come ad ognuno di questi meccanismi corrispondano tracciati molto dissimili tra loro, sia per forma che per posizionamento lungo l’asse delle frequenze (fig. 1)

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fig. 1 Curve caratteristiche dei differenti meccanismi di assorbimento.

Con materiali porosi (fig. 2-3) s’intende tutta quella famiglia che comprende, ad esempio, lane minerali, lane di vetro, schiume poliuretaniche, feltri, o materassi di fibra poliestere la cui prerogativa è quella di possedere una struttura cosiddetta a celle aperte, ossia appoggiandoci sopra la bocca vi si può tranquillamente soffiare attraverso come in uno strumento a fiato, sia esso un flauto o una tromba.

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Per compiere tale azione è però richiesto un certo sforzo polmonare che può essere più o meno intenso in relazione a quella che è l’orditura del materiale. Esso è in altre parole in grado di offrire una determinata resistenza al passaggio dell’aria e quanto più tortuoso e difficoltoso è il percorso che questa deve compiere per attraversarlo, tanto maggiore sarà l’energia dissipata per effetto dell’attrito che si genera nel contatto tra le molecole d’aria in movimento e le fibre del materiale stesso.
La loro natura si manifesta in particolar modo alle medie ed alte frequenze, dove spessori anche sottili di materiale risultano estremamente e sensibilmente efficaci. Viceversa per ottenere gli stessi risultati anche alle basse frequenze, bisognerebbe utilizzarli in spessori considerevoli, il che, unito alla possibilità di rilascio di fibre, alla scarsa resistenza superficiale e spesso al cattivo comportamento al fuoco, li rende poco adatti all’utilizzo all’interno degli ambienti di vita se non in abbinamento con un rivestimento adeguato. L’assorbimento per risonanza di membrana prevede, invece, un sistema costituito da un pannello sottile posizionato ad una certa distanza da una parete rigida. Un tale dispositivo, quando investito da un’onda sonora, viene messo in vibrazione e l’aria presente nell’intercapedine subisce compressioni e rarefazioni periodiche, comportandosi come una sorta di molla acustica. In questo caso la risposta del sistema sarà abbastanza selettiva, nel senso che il pannello tende ad assorbire molta energia in prossimità di una frequenza di risonanza propria, posizionata nel campo delle basse e che dipende dalle sue caratteristiche intrinseche (geometria e materiale), mentre tende a rifletterla quasi completamente altrove (fig. 4).

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Un analogo schema regola anche il funzionamento dei risuonatori a cavità, noti anche come risuonatori di Helmholtz. Questi dispositivi sono caratterizzati da una massa d’aria all’interno di una cavità dalle pareti rigide, messa in comunicazione con l’ambiente esterno attraverso un’apertura di dimensioni ridotte che funge da collo del risuonatore. In questo caso la massa vibrante non è rappresentata da un elemento materiale in senso stretto, come nel caso precedente, ma dall’aria all’interno del collo, mentre l’aria nella cavità funge ancora da molla acustica e quindi da agente dissipatore. Quali bottiglie che soffiando all’apertura del loro collo producono un tono caratteristico, che differisce a seconda della forma e della dimensione, così i risuonatori di Helmholtz producono un assorbimento molto selettivo nell’intorno della frequenza propria di risonanza (fig. 5).

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Tipicamente questa si colloca tra 50 e 400 Hz ed è in funzione del volume della cavità e della geometria del collo. È curioso notare come, a quanto riporta Vitruvio nel suo De Architectura, già nei teatri greci fossero stati realizzati dispositivi simili. Sotto i sedili degli spettatori, infatti, sono state trovate cavità di diverse dimensioni, atte a contenere vasi in bronzo o terracotta detti echeia la cui funzione, secondo la credenza del tempo, era quella di supportare la voce degli attori incrementando il tempo di durata delle note su cui erano accordati. Studi abbastanza recenti condotti su ricostruzioni di tali vasi hanno dimostrato che questi sono in grado di prolungare il tempo di riverberazione alla propria frequenza di risonanza solo di qualche decimo di secondo, un tempo troppo ridotto quindi per giustificarne l’utilizzo con questa finalità. D’altra parte questo spunto è stato sicuramente utile per capire che, se progettati in modo da prevedere elevate perdite all’interno della cavità, magari rivestendo l’interno con del materiale poroso, i vasi si prestavano egregiamente all’utilizzo opposto, ossia ad assorbire il suono piuttosto che a rinforzarlo. Al giorno d’oggi un’applicazione comune in cui trova espressione il principio dei risuonatori è rappresentata dai pannelli acustici forati, elementi solitamente lignei in cui sono praticati fori o fessure. Tali pannelli vengono posti in opera ad una certa distanza dalla parete di supporto, inserendo generalmente uno strato di materiale poroso nell’intercapedine. Questi rappresentano, al momento, una delle soluzioni d’intervento più indicate nei luoghi in cui la riverberazione eccessiva rappresenta un problema. Che ci si trovi dentro un teatro, un ristorante o un ufficio questa non può essere di detrimento alla comprensione dei messaggi sonori che vi circolano all’interno e tanto meno deve interferire negativamente sulla psiche umana sotto forma di disturbo o di vero e proprio fastidio. La spiegazione della loro diffusione sempre più capillare è legata perciò alla crescente sensibilità ed attenzione che il senso comune attribuisce al benessere della persona in senso globale. Patt, azienda del gruppo Fantoni, sta compiendo uno sforzo importante in questa direzione proprio per dare una risposta alla forte richiesta di nuove proposte e soluzioni.

Forte della stretta collaborazione con l’Università degli Studi di Udine, ha intrapreso un percorso il cui primo risultato tangibile è stata la realizzazione di una Camera Riverberante, una struttura che attualmente rappresenta anche l’unico strumento internazionalmente riconosciuto che permette la valutazione delle proprietà di assorbimento acustico di un materiale. Lo standard internazionale ISO 354 fornisce, infatti, una serie precisa e molto dettagliata di parametri e prescrizioni che toccano, in primo luogo, le caratteristiche fisiche dell’ambiente di prova: volume, proporzioni e finitura delle superfici.
Ne risulta una geometria essenziale fatta di piani perfettamente lisci che delimitano un volume di poco superiore ai 200 m3 in cui l’assenza di parallelismi e simmetrie è dettata dalla necessità di distribuire al suo interno le riflessioni delle onde sonore in maniera quanto più uniforme possibile. Per contro nessuna parola viene spesa su eventuali caratteristiche dell’impianto strutturale, lasciando così piena discrezionalità al progettista. La struttura leggera in profilati d’acciaio rivestita con strati multipli di pannelli in fibra di legno rappresenta una peculiarità della camera riverberante della Patt che la contraddistingue rispetto ad analoghe strutture che solitamente sono realizzate con setti continui in cemento armato. Volendo fare un paragone ancorché azzardato, si è trattato di ricreare il corrispettivo di quell’aula in cui più di un secolo fa in mezzo a drappi di tessuto e mucchi di cuscini vide i natali l’acustica architettonica per mano di Sabine. Naturalmente, al di là dell’aspetto, la differenza più marcata rispetto ad allora interessa gli strumenti di misura impiegati, che hanno subito un logico aggiornamento: l’organo a canne è stato sostituito da una sorgente sonora omnidirezionale, ossia che genera fronti d’onda sferici, mentre all’orecchio si è sostituito un apparato di acquisizione dotato di un microfono ad alta sensibilità e di uno strumento elettronico per l’elaborazione dei dati. La continuità viene perpetuata invece nel metodo di misura che è rimasto pressoché invariato nella sua apparente semplicità: si tratta di effettuare la misura del tempo di riverberazione all’interno della camera con e senza il campione di materiale in esame. I dati così ottenuti, elaborati attraverso la formula di Sabine, permettono quindi di attribuire un valore numerico al coefficiente α (alfa) al variare della frequenza. La ISO 354 introduce in tal senso dei vincoli procedurali mirati a minimizzare l’incertezza sui risultati. Così oltre a stabilire il quantitativo di materiale da introdurre all’interno della camera riverberante, compreso tra 10 e 12 m2 circa, impone un numero minimo di punti di acquisizione del tempo di riverberazione che siano tra loro indipendenti, ossia un numero di configurazioni spaziali del binomio sorgente-microfono almeno pari a 12. Viene sottolineata, infine, la fondamentale influenza che la modalità di installazione del materiale ha nella determinazione del coefficiente di assorbimento, motivo per cui la cura dei dettagli in fase di allestimento della prova dev’essere pari se non superiore a quella richiesta nell’esecuzione della prova stessa. Tanto più che i risultati che si ottengono sono indissolubilmente legati al materiale impiegato, ma anche e soprattutto alla particolare configurazione di montaggio adottata: uno stesso elemento assorbente testato ricorrendo a due differenti allestimenti darà, infatti, sempre luogo a curve di fonoassorbimento ben distinte.
L’importanza di uno strumento di ricerca così raffinato e delicato appare perciò evidente se si pensa che rende possibile il confronto sistematico di tutti i materiali esistenti nelle più disparate applicazioni e allo stesso tempo diviene indispensabile nello studio e nello sviluppo di nuovi. Questo non è che un primo passo, benché basilare. D’altra parte il comfort acustico di uno spazio confinato nasce prima che in un laboratorio, nella mente stessa di chi elabora il progetto, nelle cui mani devono convergere la consapevolezza e la responsabilità che i dati forniti dalla ricerca si tramutino in materia e forme appropriate alla definizione degli spazi.

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